L’equivalenza tra mansioni di provenienza e mansioni di nuova assegnazione deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle posizioni di lavoro poste a confronto, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine della nuova posizione a consentire la piena utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal lavoratore nella fase pregressa del rapporto.
L’equivalenza delle nuove mansioni alle ultime effettivamente svolte va quindi intesa in senso qualitativo, sicché, per la sussistenza di essa, non basta la sola equivalenza oggettiva, data dall’assimilabilità dei nuovi compiti ai precedenti e dalla catalogazione degli uni e degli altri nell’ambito della medesima categoria d’inquadramento, ma occorre altresì l’equivalenza sotto il profilo soggettivo, la quale implica che lo svolgimento delle nuove mansioni consenta l’utilizzazione e lo sviluppo del patrimonio professionale precedentemente acquisito.
A volte si è effettivamente assegnati a mansioni inferiori rispetto a quelle che spetterebbero, altre volte semplicemente ci si convince di ciò, senza che però vi sia un riscontro nei fatti.
È quest’ultimo il caso di un medico chirurgo, dipendente della Ausl di Avezzano-Sulmona, Dirigente dell’U.O. di Chirurgia Generale dell’Ospedale di Pescina, il quale iniziava una battaglia giudiziaria nei confronti della Ausl, assumendo di essere stato vittima di mobbing e di demansionamento e chiedendo pertanto il risarcimento dei danni.
Secondo il medico la condotta del suo datore di lavoro era stata tale da costringerlo ad una serie di iniziative giudiziarie che avevano avuto l’effetto di determinare in lui l’insorgere di un forte stato ansioso-depressivo, sfociato nell’aprile del 2004 in un infarto.
A suo avviso, i comportamenti della Ausl lesivi della sua professionalità e della sua salute iniziavano nel 1998, quando con comunicazione del 6 luglio egli veniva distaccato presso l’U.O. di Pronto Soccorso del P.O. di Avezzano, a causa dei lavori di ristrutturazione che avevano interessato il reparto di Chirurgia dell’ospedale di Pescina dal 4/6/98 al mesi di agosto dello stesso anno.
Visto il perdurare di tale assegnazione, il dottore si era già rivolto al Tribunale di Sulmona per ottenere un provvedimento cautelare di reintegrazione nelle mansioni di dirigente medico di II livello di chirurgia generale.
La Asl gli aveva poi comunicato, con nota del 29/05/2000, la sua riassegnazione al P.O. di Pescina, vista la futura riattivazione delle sale operatorie interessate dai lavori della ristrutturazione, ma il dottore si era nuovamente rivolto al Tribunale al fine di ottenere la reintegrazione nelle mansioni dirigenziali presso il P.O. di Sulmona. Un vero e proprio braccio di ferro.
Una volta terminati i lavori di ristrutturazione nel reparto di chirurgia di Pescina, il lavoratore riprendeva a svolgere le proprie mansioni di dirigente presso tale struttura e, successivamente, la Asl gli conferiva l’incarico di Dirigente di struttura complessa della U.O. di Chirurgia del P.O. di Avezzano, revocando il precedente incarico. Ancora una volta però il medico si rivolgeva al Tribunale, ottenendo la sospensione dell’efficacia anche di tale delibera con conseguente nuova reintegrazione nel precedente incarico.
Ma la Asl non si arrendeva e con delibera n. 283 del 13/03/2002 procedeva ad una nuova riorganizzazione del reparto di Chirurgia: una parte dei posti letto del reparto di Chirurgia Generale veniva assegnata all’attività di DaySurgery e di Chirurgia Polispecialistica e la gestione del servizio di DaySurgery veniva assegnata al dottore in questione.
Tuttavia, la scarsa presenza di personale infermieristico rendeva la nuova organizzazione poco felice e il Tribunale di Avezzano di nuovo veniva chiamato a pronunciarsi sull’argomento dal dottore dirigente, che lamentava un’eccessiva responsabilità per posti letto non adeguatamente gestiti in virtù dell’assenza di infermieri.
Non contento, dopo le sopra descritte iniziative giudiziarie, come visto intraprese più volte nel corso del proprio rapporto di lavoro, il medico ricorreva in giudizio nei confronti della Asl n. 1 di Avezzano, Sulmona e L’Aquila al fine di ottenere anche una somma risarcitoria per le condotte di demansionamento a suo avviso poste in essere.
Condizioni di lavoro nella nuova mansione
Il contenzioso incardinato dal Dirigente aveva come obiettivo quello di veder ripristinate le condizioni minimali per l’esistenza del Reparto di Chirurgia, nonché quello di eliminare ogni tipo di interferenza nella gestione di tale reparto.
In più, il ricorrente chiedeva che venisse accertata e dichiarata la circostanza secondo cui il comportamento della Asl avrebbe determinato di fatto una dequalificazione professionale dello stesso lavoratore, con gravi danni di natura patrimoniale e non patrimoniale e domandava che, una volta qualificata tale condotta come mobbing e illegittimo demansionamento, ne venisse ordinata la cessazione.
Da ultimo, si chiedeva il risarcimento di tutti i nocumenti sofferti, quantificati nella misura di euro 500.000,00, comprensivi delle voci di danno biologico e professionale.
Tali domande venivano tutte respinte in primo grado e, pertanto, l’uomo procedeva nel suo percorso giudiziario proponendo appello.
Svuotamento delle nuove mansioni
La parte appellante proponeva un solo motivo di gravame, sostenendo l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso che la riorganizzazione attuata dall’azienda avesse di fatto esautorato il ricorrente dalle sue attribuzioni di dirigente di struttura complessa, nonché nella parte in cui aveva ritenuto che le circostanze denunciate dall’appellante, pur evidenziando disfunzioni e carenze organizzative imputabili alla direzione amministrativa aziendale, non costituivano episodi significativi dai quali desumere uno svuotamento delle mansioni dirigenziali spettanti al ricorrente.
Si costituiva in giudizio la Asl la quale contestava la fondatezza delle avverse pretese, in quanto a suo avviso destituite di pregio sia storico che giuridico, avendo ella agito sempre in attuazione del proprio potere organizzativo discrezionale e mai attuato alcun tipo di demansionamento, né tantomeno di mobbing nei confronti del ricorrente.
Compiti deteriori – la sentenza della corte d’appello
I giudici della Corte d’appello de L’Aquila non aderivano alle prospettazione eseguite dal medico, rigettando totalmente l’impugnazione.
A loro avviso non si era invero assistito ad alcuna ipotesi di reale demansionamento, poiché non vi era stato il passaggio allo svolgimento di compiti diversi e deteriori rispetto a quelli per cui egli era stato assunto. Le mansioni svolte quale dirigente del reparto di Chirurgia Generale, pur se quantitativamente ridotte, per effetto della destinazione professionale qualitativamente inferiore rispetto a quelle espletate in precedenza, non risultavano compromettere la sua professionalità.
La condotta della ASL pertanto non sembrava aver determinato un depauperamento del corredo di nozioni, abilità ed esperienze acquisite nel precedente incarico, atteso che non è dimostrato che le mansioni che il dottore aveva svolto quale dirigente del reparto di Chirurgia Generale dopo l’istituzione dei servizi di DaySurgery e di Chirurgia Polispecialistica avessero un contenuto professionale inferiore rispetto a quelle precedentemente svolte.
Del resto la Corte d’appello, nel richiamare i principi di diritto sottesi a tale decisione, sottolineava come ai fini del demansionamento l’equivalenza tra mansioni di provenienza e mansioni di nuova assegnazione debba essere intesa non soltanto nel senso di pari valore professionale delle posizioni di lavoro messe a confronto, ma anche avendo riguardo all’attitudine della nuova posizione a garantire al lavoratore la piena utilizzazione del patrimonio professionale acquisito.
Ciò detto, da un lato veniva rilevato come le nuove mansioni del medico fossero sempre rimaste pacificamente inquadrabili nel livello contrattuale posseduto dal lavoratore, il quale peraltro non aveva fatto alcuna contestazione sul punto, dall’altro lato non si specificava neppure in quali aspetti concreti la nuova posizione avesse impedito la piena utilizzazione del patrimonio professionale del ricorrente.
In più, dall’istruttoria del giudizio non era emerso alcun uso abnorme del potere datoriale, tenuto conto del fatto che il potere organizzativo costituisce una delle caratteristiche intrinseche della subordinazione e nel caso di specie non sembrava essersene fatto un uso spregiudicato.
Alla luce di tali rilievi, la Corte d’appello respingeva l’impugnazione e condannava il medico a rifondere alla controparte le spese del giudizio.
La relatività della decisione
Il sistema giudiziario è e deve essere a disposizione di chi intenda dare tutela alle proprie posizioni giuridiche e ai diritti che la legge riconosce, i quali evidentemente si assumono violati. Tuttavia, sarebbe necessario non abusare della macchina giudiziaria, specie quando forse i presupposti per incardinare un contenzioso risultano essere più emotivi che giuridici.
Nel caso di specie, certamente si evidenzia uno stato patologico del rapporto di lavoro tra il medico e la Asl, il quale senz’altro avrà portato lo stesso dottore ad un reale stato di malessere connesso alla sua condizione lavorativa, ma ciò non significa che ci si debba convincere di un qualche accerchiamento inesistente o si debba divenire paranoici con riferimento a qualunque tipo di decisione del datore di lavoro che sia estrinsecazione del proprio potere direttivo.
Forse è proprio questo ciò è successo in questo caso, come sembrerebbe dimostrare anche la storia giudiziaria pregressa. Di certo, questo sembra ciò che hanno pensato i giudici della Corte d’appello.
Corte d’appello de L’Aquila, sezione lavoro, sentenza 04/06/2015, n. 685

