Demansionamento Comandante Vigili

Nel settembre 2014, il Comune di Parma veniva condannato dal giudice del Tribunale del lavoro, a risarcire il danno cagionato dall’amministrazione all’ex comandante della polizia municipale a causa del demansionamento e della condotta mobbizzante posti in essere nei suoi confronti.

Il pregiudizio veniva quantificato dal giudice in euro 30.000, che tuttavia non saranno pagati dal Comune di Parma, bensì dalla compagnia assicurativa, coinvolta nella causa di lavoro in virtù del contratto stipulato con l’ente per la copertura assicurativa nelle ipotesi di danni per responsabilità civile.


Si passa sul posto di lavoro la gran parte della nostra giornata.

I colleghi quasi sostituiscono i parenti e gli affetti in termini di tempo trascorso insieme e, anzi, molto spesso li superano; in fondo cinque giorni alla settimana, dalla mattina al pomeriggio inoltrato, sono moltissimi per poter istaurare relazioni personali che finiscono con l’assumere un ruolo determinante nella vita di ognuno di noi.

Ecco perché un ambiente di lavoro sereno e stimolante costituisce una componente fondamentale nella serenità di una persona.

Ma, al contrario, spesso capita che il luogo di lavoro finisca con il rappresentare un incubo quotidiano, l’ultimo luogo in cui vorremmo trovarci per più di otto ore al giorno, un luogo in cui la nostra sicurezza in noi stessi e la nostra stessa salute sono messi a dura a prova.

Ciò accade quando diventiamo vittime di condotte vessatorie, che hanno il solo scopo di ridicolizzarci, di isolarci, di farci sentire degli esseri inutili che non possono dare alcun contributo sul lavoro e tantomeno possono essere degni di una conversazione su argomenti diversi o di instaurare relazioni amicali con gli altri.

Si tratta di mobbing. Esso può manifestarsi in varie forme e può essere compiuto da diverse persone: è infatti possibile che siano i colleghi gli artefici di tali comportamenti, così come è possibile che sia lo stesso datore di lavoro a darsi da fare per rendere al lavoratore la vita impossibile.

In quest’ultimo caso, una delle manifestazioni del mobbing può anche essere costituita dall’assegnazione a mansioni inferiori, una scelta che umilia il lavoratore, il quale finisce con il sentirsi frustrato e non apprezzato nella sua professionalità.

Si tratta di un modo per escludere il dipendente da ruoli di responsabilità, per emarginarlo e isolarlo, assegnandolo a compiti fin troppo banali per le sue competenze e facendo in modo che egli non sia coinvolto nei processi decisionali per i quali era stato assunto.

Rimozione dall’incarico di Comandante

Questo è quanto è avvenuto al comandante di Polizia. Quest’ultima dopo il superamento di una serie di concorsi aveva assunto l’incarico di comandante della polizia municipale di Parma, dal quale era stata rimosso in seguito ad un caso. Era l’ottobre del 2008, quando uno studente ghanese veniva scambiato per il palo di uno spacciatore e, dopo esser stato condotto illegittimamente al Comando, veniva picchiato brutalmente.

In seguito a tali incresciosi fatti che portavano anche a condanne penali era stata rimossa dal suo incarico e relegata a compiti d’ufficio al di fuori del comando della polizia municipale. Insomma, un vero e proprio trasferimento punitivo, con conseguente assegnazione a mansioni evidentemente inferiori.

Ricorso al giudice del lavoro

Sulla base dei superiori fatti il comandante decideva di proporre ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Parma avverso l’amministrazione comunale, a suo avviso responsabile di aver messo in atto condotte di demansionamento e di mobbing; l’ex comandante dei vigili urbani chiedeva inoltre che le fosse riconosciuto un risarcimento per i danni subiti, quantificati in euro 380 mila, di cui 80 mila per danno da mobbing, oltre al danno biologico e al danno esistenziale, da quantificarsi in 200 mila euro e infine 100 mila euro per la dequalificazione professionale.

Tali importi erano stati determinati dalla difesa della Monguidi sulla base di una perizia di parte poi depositata negli atti processuali.

La ricorrente, assistita dall’Avvocato del lavoro, agiva oltre che contro il Comune di Parma anche nei confronti del suo successore-comandante e nei confronti dell’allora direttrice del personale, successivamente deceduta, verso i quali si chiedeva il riconoscimento di una responsabilità solidale con l’amministrazione.

Ovviamente la controversia di lavoro non aveva quale unico oggetto la pretesa economica, ma si fondava su elementi fattuali ben precisi che necessitavano dell’accertamento di un’effettiva assegnazione a mansioni inferiori, in violazione dell’art. 2103 c.c., il quale contempla un’assegnazioni a mansioni diverse rispetto a quelle per cui si è stati assunti solo se queste sono superiori o equivalenti.

Per cui, preliminare ad ogni decisione relativa al riconoscimento di una somma risarcitoria era la valutazione inerente all’effettiva estromissione da ruoli di responsabilità, come sostenuto dall’ex comandante, che asseriva di esser stata, oltre che trasferita, anche isolata e delegittimata.

È certamente dura accettare di perdere un incarico di potere al quale non è certo difficile abituarsi.

Al procedimento partecipava anche la compagnia assicurativa, chiamata in causa dal Comune di Parma che con essa aveva stipulato un contratto tramite il quale la compagnia aveva assunto l’obbligo di manlevare l’amministrazione in caso di riconoscimento di una qualche responsabilità.

La comparazione delle mansioni

La causa veniva intentata nell’autunno del 2011 e si protraeva per tre anni, durante i quali si svolgeva l’attività istruttoria volta a fornire la prova di quanto sostenuto dalla ricorrente.

Se per il demansionamento la prova non risulta essere particolarmente disagevole, vista la possibilità di procedere ad una semplice comparazione tra le mansioni previste dal contratto di lavoro individuale e quelle effettivamente svolte dal dipendente, un diverso discorso deve essere fatto per la fattispecie di mobbing, che al contrario risulta essere molto più complessa da provare.

Non solo, con riferimento sia al mobbing che al demansionamento graverà comunque sul lavoratore l’onere di provare di aver subìto un danno.

Come detto, per ciò che concerne il mobbing, l’onere della prova è piuttosto gravoso. Si tratta di una fattispecie complessa, che presuppone una serie di comportamenti vessatori i quali devono essere legati da un unico filo conduttore, ossia l’elemento volitivo da parte di colui che li realizza.

Non basta dunque che effettivamente vi siano state delle condotte di per sé vessatorie, ma si necessiterà dell’ulteriore prova dell’elemento soggettivo, tutt’altro che semplice.

In più, all’esito di tale attività, si dovrà fornire la prova del danno e del nesso causale diretto tra le condotte e il nocumento arrecato, che potrà essere di natura biologica, ossia relativo alla salute, ovvero di natura professionale, nell’ipotesi in cui il pregiudizio si riferisca alla dequalificazione professionale subita.

Nel caso di specie, il giudice del lavoro di Parma non riteneva necessario disporre una consulenza tecnica d’ufficio che potesse accertare con precisione il danno subìto dall’ex comandante dei vigili urbani.

In un primo momento, in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione, il magistrato proponeva di chiudere la controversia con il riconoscimento in favore della ricorrente della somma omnia comprensiva di 75 mila euro; l’amministrazione accettava l’accordo stragiudiziale in questi termini, ma la lavoratrice si opponeva, in quanto tale somma, molto lontana dai 380 mila euro da lei inizialmente richiesti, non teneva conto a suo avviso delle spese legali che ella aveva dovuto affrontare per incardinare il processo.

Fallito pertanto il tentativo di conciliazione, il giudice, dopo aver assistito alla formazione della prova, si pronunciava nel merito, accogliendo soltanto in parte le domande della ricorrente.

Anzitutto veniva esclusa ogni responsabilità a chi era subentrato alla ex comandante nel ruolo di comandante della polizia municipale, così come pure era esclusa una responsabilità della dirigente dell’ufficio del personale, nel frattempo deceduta.

Il giudice accoglieva poi la domanda relativa all’accertamento del demansionamento e del mobbing, a suo avviso sufficientemente provati, anche se il danno prodotto era quantificato in misura molto diversa rispetto alle pretese della parte ricorrente.

Veniva infatti riconosciuto un risarcimento di soli 30 mila euro, somma di molto inferiore anche a quella che era stata individuata nel corso del tentativo di conciliazione, peraltro accettata dalla controparte.

Per effetto della superiore sentenza, oltre all’importo ricevuto a titolo di ristoro, l’ex comandante otteneva la reintegrazione al comando di Via Del Taglio, ove tornava a ricoprire un incarico direttivo, conformemente a quelle che erano le mansioni per le quali era stata assunta.


Esistono due tipologie di cause di lavoro dirette a far accertare una condotta mobbizzante del datore di lavoro, nonché l’assegnazione ad attività deteriori rispetto a quelle che si dovrebbero ricoprire: vi sono quelle in cui effettivamente il lavoratore merita un ristoro per il grave pregiudizio subìto, anche in termini di danno alla salute, e poi vi sono le controversie che hanno natura meramente pretestuosa, in cui, pur di arrecare un qualche fastidio al proprio datore, si cerca di mettere insieme una causa e di ottenere qualche spiccio arrotondando quanto già per anni ottenuto con la busta paga.

Pur individuandosi sempre nel lavoratore la parte debole del rapporto contrattuale, non sempre è così. È vero, le condotte in oggetto, di demansionamento e mobbing, sono odiose ed umilianti, ma solo nel caso in cui effettivamente si siano realizzate.

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